Ada Pellegrini, La guerra della bambina
Prefazione di Enrico Nistri
LoGisma, 2001. 296 p., 13x20,5 - ISBN 88-87621-25-X - Euro 12,91


Segreti

La famiglia era piena di misteri. Non appena la bambina entrava in salotto, le persone presenti si affrettavano a cambiare argomento. Riusciva ad ascoltare bisbigli e risatine attraverso le porte chiuse, ma quando bussava tutti ammutolivano finché la madre non la mandava a giocare altrove. La piccola si rassegnò fino al momento in cui anche la sorella restò all’oscuro da tanti segreti. Ma un bel giorno sorprese mamma a confabulare con la figlia maggiore e decise che era ormai abbastanza grande da venire a conoscenza di tutti quei misteri.

Perfezionò una tecnica speciale per apparire distratta. Prendeva con sé qualche giocattolo, come i pentolini, che peraltro detestava, i blocchetti per le costruzioni o una scatola di matite colorate e, seduta sul tappeto ai piedi della madre, delle zie e delle amiche, si fingeva completamente sorda, canticchiando tra sé e sé finché la conversazione non riprendeva. E lei, con le orecchie tese, ascoltava cose che spesso la lasciavano perplessa.

– Ammetterai che abbandonare il marito e andarsene con i bambini dal dottor Crema è stata una decisione piuttosto drastica, anche se aveva le sue buone ragioni e le liti domestiche erano ormai all’ordine del giorno - obietta zia Olga (che non è una vera zia). –

– Che altro poteva fare? - sospira mamma - La situazione era diventata insostenibile e lei si è rifugiata in casa di un vecchio amico, disposto a provvedere ai suoi figli.–

– Questa poi! - sbotta Zia Olga - Non poteva venire qui, in casa della sorella preferita? Non mi dirai che il dottor Crema non si è approfittato della situazione…–

La bambina capisce che si parla di Zia Carmen, la sorella preferita di sua madre, e si chiede come l’avranno presa i cugini. Dato che non conosce bene zio Ezio e tanto meno quel dottor Crema, non ha le idee chiare sui sentimenti dei ragazzi, ma di una cosa è certa: lei no, non accetterebbe mai di cambiare papà con un dottore qualsiasi.

Fingendosi in altre faccende affaccendata, riusciva ad ascoltare delle storie assai eccitanti, come quelle colte nella conversazione tra la madre e la "sorella preferita", che parlavano di Zia Ada, riferendosi tra scandalizzate ed ammirate a un’avventura della sorella, così emancipata, partita per la Scozia con un suo allievo di venti anni più giovane. La fantasia della bambina galoppava. Un’avventura degna di questo nome, a suo avviso, doveva consistere in una caccia al leone o all’elefante oppure, quanto meno, alla scoperta di un tesoro. Ed immaginava la zia, bella e severa, in questa misteriosa Scozia, condotta in abiti da esploratore dal giovane amico che la salvava dai pericoli più svariati. La considerazione per la zia aumentava, inducendola a perdonarle gli innumerevoli fastidi che infliggeva a lei e ai suoi fratelli.

Ma un giorno captò una conversazione che la turbò.

– Non posso dimenticare- si confida mamma con le lacrime agli occhi - non posso dimenticare. Capisco che in quel momento, nella situazione difficile che stavamo attraversando, due bambine piccole e il ricovero di Nino a Bologna per le operazioni alla mano, non ci potevamo permettere un altro figlio. Ma è sbagliato levarsi un piccino dal ventre così, nessuno ha il diritto di farlo e non posso fare a meno di pensare sempre all’altro bambino che avrei, non fosse stato per la mia debolezza. –

Zia Olga, la migliore amica della madre, tenta di consolarla, ma lei scoppia in un pianto a dirotto e la piccola ne rimane sconvolta, tanto per le lacrime quanto per l’idea che sia possibile "togliersi un piccino dal ventre". Sa bene, ovviamente, che non è la cicogna a portare i bambini e che questi non si trovano sotto i cavoli, ma crescono nella pancia della mamma. Quindi, se questa non li volesse, potrebbe sbarazzarsene? Ma come? E dove finirebbero?

Le mancò il coraggio di domandare alla madre ragguagli in proposito e restò disorientata per diverso tempo, finché da un’amichetta più grande non venne a sapere che le donne possono perdere il bebè dal buchetto della pipì, cosa che si chiama abortire, e che potevano farlo quando lo desideravano. Si trattava ora di trovare una giustificazione per sua madre e finì per formarsi una confortante opinione: ogni volta che il pipi del padre si accostava alla pipina della madre per depositarvi un piccolo seme, come le aveva spiegato mamma, un minuscolo esserino cominciava a crescere. E poiché le pareva impossibile che questo accadesse soltanto due, tre o quattro volte - tanti erano i figli degli amici dei genitori e soltanto i coloni di Marsicovetere ne avevano dieci o dodici - giunse alla conclusione che sarebbe stato necessario stabilire una politica della natalità (anche se non conosceva ancora quell’espressione) e che quindi non solo la sua, ma tutte le mamme dovevano aver avuto parecchi aborti.

Fra tanti misteri ce n’erano alcuni di cui la bambina era fatta partecipe, cosa che l’inorgogliva non poco. Per esempio, quello che riguardava Zia Angiolina - in realtà zia di papà - che a diciott’anni era "impazzita" ed era stata ricoverata per molti anni in una casa di cura, lontana dalla famiglia e sottoposta a penosi elettroshock. E che poi era guarita miracolosamente, da un giorno all’altro, quando l’ospedale aveva preso fuoco. Adesso Zia Angiolina era assolutamente normale e si incaricava dell’amministrazione delle terre di Marsicovetere e della casa di Brienza.

Purtroppo, dopo la guerra, avrebbe avuto una ricaduta dalla quale non si sarebbe mai ripresa, pur avendo vissuto fino a centocinque anni. Questa volta, per fortuna, non venne ricoverata e rimase in casa a piangere negli angoli e a passeggiare avanti e indietro nella sua stanza, in un incessante snocciolare di "Maronna mia, com’aggia a fa", mentre sgranava il rosario e rosicchiava un tozzo di pane secco.

Oggi la sua malattia verrebbe diagnosticata con il nome di angoscia o panico e sarebbe perfettamente curabile con un po’ di Prozac o Anafranil.

Tuttavia, il segreto che la bambina preferiva, e che custodiva gelosamente, era che nonna non doveva sapere che papà era partito per la guerra.

La nonna paterna, la sola che lei avesse conosciuto, era malata di cuore e soffriva di ansia, ragion per cui tutta la famiglia decise di nasconderle il fatto che l’unico figlio maschio si era arruolato volontario e si trovava a combattere in Spagna.

Magra, piccola e nervosa (come tutta la famiglia Giampietro) era venuta ad abitare col figlio e la nuora alla morte del marito magistrato. Con le figlie non faceva che bisticciare e solo mamma era capace di sopportarla. Anche se lei non si lamentava, la convivenza era tutt’altro che facile.

Mamma ha fatto lessare un magnifico pesce per far piacere alla suocera che proprio ieri ha protestato, allontanando il piatto di carne:
- In questa casa non si mangia mai pesce. Che nostalgia del pesce che preparavo a Napoli per il povero Pittuccio.
La bambina sa che Pittuccio era il nomignolo di nonno Benedetto, ma ogni volta che lo sente le sembra buffo.
Ora, seduti a tavola, nonna e nipoti aspettano il secondo, che mamma porta in tavola trionfante, il pesce lesso contornato da patate e verdure varie.
La nonna sbircia furtivamente il vassoio e mormora con aria di estrema sofferenza: – Pesce?, proprio oggi che avevo tanta voglia di mangiare carne? –

Mamma sopportava tutto con sacrosanta pazienza, ma si raccomandava che quando fosse invecchiata, i figli la mettessero in un ospizio perché non voleva dar noia a nessuno.

Quanto alla guerra, nonna non doveva sapere che papà era in Spagna e la bambina non doveva assolutamente lasciarsi sfuggire una parola.

Conscia della propria importanza, sta di guardia alla porta della cucina, pronta a dare l’allarme se nonna dovesse uscire dalla sua stanza.

Mamma sta confezionando un pacco per papà. Riunisce sul tavolo un paio di calzini di lana, il maglione che gli ha fatto, una scatola di lamette da barba, un pettine e una spazzola, un pacchetto di fichi secchi ed una manciata di mandorle. Avvolge il tutto in un foglio di carta da imballaggio, lo lega con lo spago, riscalda sul fuoco la ceralacca – un odore che la bambina adora- la lascia sgocciolare sullo spago e vi applica il sigillo ornato da uno stemma gentilizio.

Poi, in stampatello, scrive il nome e l’indirizzo del marito. La piccola può lasciare il suo appostamento e si avvicina per ammirare il risultato. Non sa ancora leggere, ma ha una certa familiarità con l’alfabeto.

- Che lettera è questa, mamma? – domanda nel vedere uno strano segno che sembra un serpentello sdraiato.

- una lettera spagnola- spiega la madre -si fa un segnetto sulla enne, e la "n" diventa "gn". –

- E come si legge tutta la parola? –

- Señor si legge segnor. –

La bambina è più che mai convinta che lo spagnolo sia una lingua straordinaria, e neanche tanto difficile, ed è felice che papà possa ricevere un pacco in spagnolo senza che nonna lo sappia, grazie alla sua complicità.

La madre, probabilmente, sapeva benissimo che il figlio era in guerra, ancora una volta a rischiare la vita. Sarebbe stato impossibile tener nascosto un fatto di tale importanza ai suoi occhi di falco e al suo finissimo udito. In ogni modo, fingeva di esserne all’oscuro. Mamma certo sapeva che la suocera sapeva, ma anche lei fingeva di non sapere.

E così, tutte due si ingannavano a vicenda, per tacito accordo, perché era più facile fingere che l’una non sapeva e che l’altra non sapeva che la prima fingeva di non sapere: l’ansia di nonna veniva contenuta per forza di cose, mamma non poteva dimostrare la sua, e tutto procedeva come se il padre si trovasse veramente all’estero per lavoro.

 


Ada Pellegrini, La guerra della bambina
Prefazione di Enrico Nistri
LoGisma, 2001. 296 p., 13x20,5 - ISBN 88-87621-25-X - Euro 12,91